Federico II svolse un ruolo chiave nell'ascesa della Scuola poetica siciliana, considerata tra i più celebri movimenti letterari del medioevo. La poesia della Scuola, che si ispirava all’amor cortese dei trovatori provenzali, fiorì infatti intorno alla sua corte tra il 1230 e il 1250 e fu di grande influenza sui poeti del dolce stil novo. Inoltre, favorì la costruzione di una nuova lingua, il volgare illustre, diverso dalla lingua parlata dal popolo e basato sul latino. Lo stesso Imperatore fu autore di alcune liriche, dimostrando un interesse personale per l'arte della parola. Tra i protagonisti della Scuola siciliana spicca la figura di Jacopo da Lentini, notaio alla corte dell’Imperatore. La sua fama è legata all'invenzione del sonetto, una forma poetica composta da quattordici endecasillabi; Dante, considerandolo il precursore del dolce stil novo, lo cita nella Divina Commedia e, come riconoscimento per la sua straordinaria poesia d’amore, Federico gli conferisce il titolo onorario di Principe di Palermo.
Non è un caso che Jacopo da Lentini sia stato notaro (notaio) alla corte dell’Imperatore, dal momento che i poeti della Scuola furono alcuni tra i principali funzionari del Regnum Siciliae. Tra di essi, la personalità più illustre fu Pier della Vigna, poeta, diplomatico, e Logoteta Imperiale (cioè faceva le veci di Federico in sua assenza), il quale venne arrestato con l’accusa di tradimento e accecato per volontà dello stesso Imperatore attraverso un ferro ardente. Secondo l’opinione di Dante, Pier fu vittima delle invidie di palazzo e quella contro di lui fu una vera e propria congiura: egli morì suicida, ecco perché nel XIII canto dell’Inferno viene condannato a trascorrere l'eternità con le sembianze di un arbusto secco.